La prima tentazione a cui bisognava resistere era quella di pretendere di ricostruire naturalisticamente l'ambiente, il "luogo" Sottano. Poi c'era il problema-personaggi: anche in questo caso, pretendere una interpretazione dei personaggi del Sottano da parte degli attori di Puglia Teatro in chiave naturalistica sarebbe stato paradossale se non addirittura quasi grottesco. Non c'è il distanziamento storico necessario per poter "interpretare" quei personaggi, che appartengono ad una storia che è ancora così recente da essere tuttora cronaca; si pensi che alcuni personaggi sono (fortunatamente) oggi ancora viventi ed in buona salute. Ma anche per chi non è più con noi il discorso non cambia di molto. Proviamo ad immaginare un attore che interpreti ad esempio il ruolo di Vittore Fiore o quello di Michele De Giosa: impensabile ed impossibile.

Allora le scelte dovevano orientarsi in altre direzioni; la cifra da adottare per la realizzazione dello spettacolo doveva essere non naturalistica, bensì straniata: dalla scena ai costumi, alla interpretazione degli attori, non era la lezione di Stanislavskij da seguire ma quella di Brecht ed appunto del suo “effetto di straniamento”, tanto per intenderci; non interpretare i personaggi dal   di-dentro, bensì dal di-fuori.

Così alcune soluzioni registiche hanno reso possibile portare in scena i personaggi del Sottano in maniera credibile ed accettabile, in un contesto scenografico non tradizionale ma coinvolgente ed affascinante. Si tratta di uno spettacolo che vuole suscitare emozioni; è una ri-cognizione storica senza la pretesa di ri-costruire gli umori del tempo e del luogo; un atto d’amore della generazione di noi figli nei confronti di quella dei nostri padri e dei nostri nonni. È anche un doveroso scandaglio in un periodo storico di grandissima importanza per Bari, la Puglia, l’Italia, mai frequentato in teatro dalla parte di noi pugliesi; per contribuire a conservare e custodire una parte così decisiva della nostra storia più recente.

Una operazione che ci aiuta a non essere apolidi, anche se cittadini del mondo.